"Dietro ai suoi occhi c'è terra bruciata, e uno spirito abbandonato. Se si potesse guardare oltre, si vedrebbe la sua ingenuità e dolcezza; era una ragazza piuttosto timida e riservata prima che la sua vita venisse distrutta dal fato..." [Marika e Perla - prologo]

lunedì 9 luglio 2012

Sorcerers' Dreaming - Portale per Bastreth [cap. 2]

Secondo capitolo! Enjoy!


SORCERERS' DREAMING

«Riesci a crederci, Annah? Siamo arrivati fino a qui... noi due, soli, senza poteri o amici a sostenerci...»
Attorno a loro, le persone in coda al confine estremo alzavano gli occhi al cielo e si allontanavano da loro, come se fosse troppo nauseante ascoltare le loro chiacchiere. Nehroi non aveva udito il bisbiglio della sorella di abbassare la voce e aveva proseguito imperterrito. «Abbiamo attraversato le Lande, camminando senza tregua giorno dopo giorno, senza altra famiglia se non noi...»
«Sì, ehm...»
Alcuni bambini li additavano alle loro madri ed erano stati prontamente distratti perché non li osservassero troppo. Ogni parola che usciva dalle labbra di Nehroi era come un biglietto da visita, agli occhi di tutti, ma lui non se ne era mai curato e aveva sempre parlato di tutto liberamente.
«Siamo stati grandi, lo capisci? Contando unicamente sulle nostre forze ora siamo qui, al confine del mondo, e fra poco scenderemo sulla Terra, tra gli umani! Magari lì troveremo una nuova casa e... sarà bellissimo, vedrai!»
Savannah ricordava quel giorno, quel sole che cuoceva le loro teste stanche dopo aver percorso a piedi o su mezzi di fortuna un percorso che non poteva che sembrare infinito e doloroso per due ragazzini di dieci anni o giù di lì. Ricordava le guance sporche di terra di Nehroi mentre impallidivano e i suoi occhi sgranarsi per lo stupore, l'incredulità, la delusione.
Jiin e brehmisth, chi possiede le doti magiche e chi no, le parole che dividevano due mondi. Erano un concetto che nessuno aveva mai messo in discussione, eppure quel giorno aveva stravolto tutto.
Non avevano vissuto a lungo con i loro genitori e l'unico familiare che li aveva cresciuti almeno un po' era stato nonno Ughrei, padre di loro padre, e di lui si potevano dire tante cose -che fosse un visionario, spesso ubriaco, musone e scostante in tutto- ma non che non avesse due capisaldi fissi: la pistola terrestre nella cinta dei pantaloni che custodiva orgogliosamente con due soli proiettili in canna e la convinzione che nella loro famiglia il dono passasse di padre in figlio, e che Nehroi l'avrebbe ereditato, diventando jiin; per Savannah non c'era altro da fare che accettare di essere una brehmisth e sostenere il fratello nell'apprendimento delle leggi magiche.
Ughrei non era un tipo di molte parole e dei ragazzi non gli era mai importato nulla, tanto da lasciarli crescere come cagnolini nel campo di erbacce che era la loro casa, ma quando lucidava la sua arma i ricordi di un tempo e di uno spazio lontanissimo riaffioravano così prepotentemente in lui che gli finivano subito sulle labbra e i due fratellini non se le erano mai lasciate sfuggire.
All'epoca Savannah e Nehroi erano solamente due bambini a cui erano stati tolti gli affetti ancor prima che potessero conoscerli e chiamarli tali. Potevano contare solamente su di loro e sulle loro forze, crescendo assieme come solo due orfani di strada con una missione avrebbero saputo fare. Nehroi si era sempre preso cura di Savannah e lei di lui, facendosi da genitori a vicenda, dal momento che nessuno -nemmeno Ughrei, che se li era ritrovati sul groppo all'improvviso- sapesse dire chi fosse il maggiore tra i due. Effettivamente, non sapevano con precisione nemmeno quanti anni avessero.
La parete rocciosa si ergeva di fronte a lei, come sempre.
Savannah sapeva perché le stessero ritornando in mente quel sole e quelle guance sporche mentre guardava un viso rasato e la pioggia le bagnava i capelli: il confine era di fronte a loro e lei stava per aprire il portale, esattamente come quella volta di una decina di anni prima.

«Mettersi in posizione», aveva mugugnato atono l'uomo gigantesco che controllava e gestiva il flusso di migranti ,seppur svogliatamente. La sua stazza era tale da far sentire minuscolo anche il lottatore di montagna alle spalle di Nehroi, che era sul punto di credere di esser stato rimpicciolito tra un passo e l'altro un attimo prima.
Il bambino aveva annuito con fierezza, non lasciandosi intimorire troppo, e aveva fatto un passo in avanti tendendo orgogliosamente il viso verso il guardiano. Il gigante aveva riso di gusto. «Non credo proprio, brehmisth!»
Nehroi, disorientato all'improvviso, si era sentito gelare il cervello e la gola si era fatta più arida del deserto che avevano attraversato per giorni. Aveva aperto la bocca per balbettare qualcosa -che c'era sicuramente un errore e che lui non era un brehmisth ma un jiin- ma il guardiano aveva indicato Savannah con una smorfia. «Non hai un briciolo di magia, bimbo, cosa speri di combinare? Lei, forse...»
La bambina aveva deglutito rumorosamente, sorpresa e stupita come poche volte in vita sua. Aveva sgranato gli occhi e guardato Nehroi in cerca di una spiegazione, ma non aveva trovato altro che un volto ferito e deluso.
Si era impegnata molto per rendere la sua voce il più ferma e tranquilla possibile, per fronteggiare la situazione. «Non l'ho mai fatto prima, non so se...»
Il guardiano aveva sbuffato, visibilmente seccato. «Hai qualche nozione di base, almeno?»
Aveva annuito, sicura di sé. «Chi esce deve rientrare entro sei mesi per non perdere i poteri e non si riattraversa il portale se non si è lo stesso gruppo alla partenza.»
«Intendevo nozione pratica, mocciosetta, e comunque non sono più sei mesi ma due. La Terra è sempre più avida.»
Savannah era arrossita violentemente, imbarazzata per la figuraccia e la sua ignoranza. Aveva scosso la testa, lentamente, come se non volesse mostrare troppo vistosamente la sua ammissione. In fondo, aveva appena scoperto di non essere una brehmisth...
«Mai studiato, eh?», ridacchiò l'omaccione facendosi di lato. Aveva afferrato un vetro rotondo e opaco che teneva incastrato su un bracciale alla spalla sinistra e lo aveva posto di fronte agli occhi di Nehroi, come se stesse controllando se ci si vedesse attraverso, e non ci fu alcun cambiamento nel vetro; poi lo aveva posto di fronte a Savanna e, da trasparente che era, il rilevatore si era riempito di un fumo giallo pallido, fluttuando dal punto corrispondente alle sue pupille, e il guardiano aveva riso.
«Neanche tu puoi aprirlo, ti ammazzeresti. Torna quando sarai più forte.»


Nehroi si accorse della sua aria corrucciata e si intromise prepotentemente nel campo visivo della sorella, facendo inquietanti rumori con le scarpe nel fango. «Cos'hai?», domandò quasi con impertinenza.
Savannah lo guardò storto. «Le persone normalmente dotate hanno dei pensieri, a volte», sibilò seccata sotto lo scroscio d'acqua, «E nessuna legge mi impone di dirteli.»
Si sfilò uno spallaccio e portò lo zaino sul petto, fece scorrere rapidissimamente la zip ed estrasse un cracker. «Vuoi?», domandò mentre ne addentava uno creando una fontana di briciole.
Il ragazzo fece cenno di no con la mano. «Secondo me sei sovrappensiero per via del portale, non ricordi più come si evoca», la provocò.
Savannah rise all'improvviso, irruente come lo scoppio di un palloncino. «Non ricordo come si evoca! Buona questa!», la sua voce trillava come un campanello tra i tuoni del cielo. «Non sono così tonta da scordare cose tanto importanti da un mese all'altro.»
«E allora perché siamo sotto l'acquazzone a non far niente? A cosa pensi?»
«Alla...» sorrise. «Alla prima volta», confessò infine. In fondo non sapeva arrabbiarsi troppo a lungo con Nehroi.

«Con questo livello di magia, è già tanto se riesci a passare tu da sola.»
La voce del gigante aveva tuonato minacciosa e derisoria nelle orecchie di Savannah e in quelle di tutti gli altri presenti che iniziavano a ridacchiare di nascosto. Nehroi aveva afferrato prontamente il braccio della sorella e l'aveva trascinata fuori da quella dogana crudele prima che la sua psiche potesse risentirne troppo, sgomitando senza sosta tra gli altri in coda, che li additavano e mormoravano tra loro.
Però quando la luce del sole colpì i loro visi, le lacrime della bambina avevano già bagnato completamente le guance rosee, gli occhi erano ormai arrossati e il singhiozzo inevitabile.
Nehroi aveva abbassato violentemente lo sguardo, solo per nascondere anche i suoi occhi lucidi, e l'aveva abbracciata, anche se senza passione. Il nonno si era sbagliato e lui non aveva alcun potere. Tra la loro gente, “brehmisth” non era sinonimo di debolezza, no: era direttamente il modo per descriverla. Un brehmisth non è molto diverso da un umano, li differenziava solo la conoscenza della magia e dei suoi meccanismi.
«Ne...», lo aveva chiamato piano, in un sussurro spezzato.
Il bambino aveva sciolto l'abbraccio e si era ritrovato di fronte il volto più distrutto che avesse mai visto . «Ne, adesso cosa facciamo?»
Nehroi sospirò e si sistemò meglio sulla fronte il cappuccio della felpa, ormai completamente zuppo e inutile sotto quella pioggia battente. «A volte torna in mente anche a me...», disse in un sospiro.
Iniziò a pensare che se e quando sarebbero riusciti a tornare a casa, avrebbero passato mesi a letto con la febbre o con una polmonite.
Savannah invece sembrava non accorgersi minimamente del tempo. «Per tutta la vita avevamo pensato che tu avessi ereditato i poteri... e invece ce li avevo io.»
«Ce li hai tu», precisò il fratello, con un pizzico di nervosismo. «E che ne dici di usarli?»
La sorella gli fece la linguaccia e si voltò verso la parete rocciosa. Cercò due punti in cui una scia violacea di minerali era più visibile, segno della rottura della materia tra le dimensioni, e vi ci posò le mani. Chiuse gli occhi e le dita iniziarono a tremarle.
Nehroi si avvicinò alla roccia, abbastanza da entrare nel raggio di trasporto ma non troppo perché venisse bruciato dall'incantesimo. Qualche secondo dopo, la concentrazione di Savannah aveva raggiunto livelli tali da farle da far diventare incandescente la scia violacea, che si allargò sempre di più fino a disegnare uno squarcio nella montagna. Savannah tolse le mani e se le pulì sui pantaloni, mentre un sorriso soddisfatto le si disegnava sul volto.

«È evidente che devi prendere tu i compendi e i libri del nonno», aveva detto Nehroi mentre tirava su con il naso, intento a non mancare di rispetto alla sorella che lo aveva sostenuto tanto quando le parti erano invertite. «Per fortuna ti ho sempre detto tutto ciò che mi insegnava, quindi adesso puoi iniziare ad esercitarti...»
Aveva alzato gli occhi al cielo, come se stesse cercando la forza di andare avanti, poi li aveva abbassati sulla sorella, incrociando uno sguardo impaurito e sconvolto. «Avremmo dovuto accorgercene prima che non sapevo spostare neanche una piuma se non soffiando...», la sua voce era amara e spezzata.
«Il nonno ha sempre detto che non è male essere un brehmisth...»
«Lo diceva per consolarti, Sav!», aveva sbottato Nehroi nervoso, prima di accorgersi di ciò che aveva realmente detto. Adesso che il brehmisth era lui, capiva quanto era stato cattivo e ingiusto a credere di essere superiore alla sorellina, la sua nuova unica ancora di salvezza per tutta la vita.
«Per prima cosa, esercitati sull'apertura del portale», aveva cercato di riprendersi trovando risolutezza nella sua coscienza. «Al resto penseremo dopo, tra gli umani.»
Il tempo sembrava non scorrere mai. Avevano passato giorni e giorni studiando le tecniche magiche ed appurando che effettivamente Savannah era un jiin, e neanche troppo debole. Ogni mattina, puntualmente, si presentavano di fronte al guardiano, chiedendo di controllare se il suo livello di magia fosse sufficiente per lasciarsi alle spalle quel mondo che non portava alcun futuro per due orfanelli come loro, e il gigante si era stupito per primo vedendo un fumo arancione scivolare nel vetro dopo una sola settimana. «La gente normale ci mette un mesetto almeno a passare di grado, lo sai bimba?», le aveva detto soddisfatto. «Esercitati ancora un po', però... meglio non correre rischi con una novellina. Mica vuoi che il tuo fratellino arrivi squarciato a destinazione, no?»
I ragazzi erano impalliditi a quella battuta, non riuscendo minimamente a ridere di gusto come il gigante.
Altri soli erano sorti e tramontati sulle loro piccole teste, mentre decine di altri migranti erano andati e tornati attraverso il portale, lamentandosi dello stato della natura e dei malcostumi degli umani. «Non c'è niente per voi, là sotto», aveva detto loro una vecchia dalla faccia arcigna.
«Non c'è niente per noi nemmeno qui», aveva ribattuto Savannah aggrottando la fronte.
La vecchia era sembrata sorpresa, ma solo per un attimo. «Beh, c'è sempre il piano di sopra! Ah!»
La mattina successiva Savannah e Nehroi si erano presentati ancora di fronte al guardiano, molto più fiduciosi della prima volta che lo avevano visto in faccia, ormai dieci giorni prima.
Il gigante aveva già il rilevatore in mano, come se quello fosse diventato un vero e proprio rituale, e aveva indicato a Savannah il punto in cui i jiin aprono il portale. Con il vetro posto di fronte agli occhi, la bambina aveva osservato un fumo arancione molto intenso e scuro, che per poco non era rosso, e ne era rimasta soddisfatta.
«Ottimo progresso», aveva detto il guardiano riponendo il rilevatore al suo posto. «Ora puoi attraversare il confine tra i mondi.»
Savannah si voltò soddisfatta e felice verso il fratello, ma non riuscì ad incrociare il suo sguardo: stava sistemando con insistenza qualcosa dentro lo zaino, a capo chino.
Il guardiano prese le mani di Savannah e la tua attenzione di focalizzò su ciò che aveva imparato dai libri, dai consigli del gigante e dall'osservazione delle altre persone che erano già transitate nei giorni precedenti. «Rilassati», le aveva detto, guidando le sue mani su un'incrinatura colorata della roccia.
Savannah aveva annuito, raccogliendo il coraggio e la forza di volontà con ogni fibra del suo corpo, e aveva chiuso gli occhi, cercando di concentrarsi solo sulle scie verdastre, sulla loro consistenza, sull'affondare le dita in quelle increspature della montagna fino a toccare la parete corrispondente nell'altro mondo, in chissà quale montagna di chissà quale paese umano. Quando il calore della roccia era svanito, Savannah aveva capito di essere arrivata dall'altra parte e aveva immaginato di aprire il portale, esattamente come se fosse una finestra o una porta.
Aperti gli occhi, si era ritrovata di fronte un velo liquido e, in lontananza, un paesaggio totalmente nuovo, molto più verde e rigoglioso del deserto alle sue spalle.
Si era voltata verso Nehroi, bloccato con una mano a metà nello zaino e la bocca semiaperta per lo stupore. Negli occhi, qualcosa di insolito, forse timore per ciò che li stava per attendere.
«Muoviti, fifone», disse al fratello un attimo prima di attraversare il velo liquido che nascondeva le alture di Bastreth, ricordando quella prima volta.

lunedì 2 luglio 2012

Sono una svampita...

... tanto da non riuscire a ricordare la password e riuscire a -questa è bella- cambiarla in un altro account email mentre ne chiedevo una nuova per questo. Le magie della macrofagia di Google verso Youtube, Yahoo e quasi tutto il resto...
La cosa più divertente ancora (?) è che non ricordo più che pass mi hanno dato per l'altro account, quello sfigato che è stato modificato al posto di questo! E sì che la vecchiaia è lontana... ^^"

Sorcerers' Dreaming - La leggenda di Aldeolar [cap. 1]


Questa è una nuova storia a cui sto lavorando, in attesa di potermi dedicare meglio ai miei libri -in via di “costruzione”. Il genere stavolta è fantasy, o meglio urban fantasy, in cui vedremo magia, valori e intrighi mescolarsi senza sosta per un'avventura un po' fuori dalle righe...
Buona lettura!  


SORCERERS' DREAMING

Ho vissuto dentro ad un incubo per così tanti anni che ormai era piacevole. Avevo sempre paura, terrore di poter finire male, con l'anima divorata, senza riuscire a raggiungere la superficie, paralizzato o intrappolato in cose orribili.
Ora che tutto è finito... sono di nuovo al mondo, nella pace e mi sento male.
Laggiù potevo sempre aspettarmi il peggio ed ero allenato. Ma qui, ora, cosa posso aspettarmi?
Del bene? Affetti, calore, bontà?
Non sono preparato.”
[Memorie di Aldeolar, estratto del volume 2, edizione 139 l.k.]

Nehroi scese vittorioso dalla scala della libreria, agitando con il braccio sinistro un voluminoso tomo di mitologia antica.
«Guarda un po' cosa ha trovato il genio di famiglia?», gongolò alla sorella, arrampicata sulla scala alle sue spalle. <Sono o non sono il miglior cercatore di...»
«Passa e taci!»
Il ragazzo soppesò il volume e un sorrisetto beffardo gli si dipinse sul volto mentre lo lanciava senza avvertire verso la testa di Savannah, di spalle e con un braccio teso verso di lui. Il libro fece una parabola in aria, sfiorando l'enorme lampada al neon che illuminava a stento gli scaffali, lasciando una scia di polvere dietro di sé, e stava per piombare violentemente sui capelli neri della ragazza quando si fermò ad appena un centimetro da loro, come se fosse appeso al soffitto da un filo.
Savannah si voltò lentamente, gli occhi ridotti a due fessure e il libro ancora sospeso sopra di lei. «Molto maturo, complimenti», sibilò acida.
«Non eri tu quella che voleva impratichirsi di più con gli incantesimi sulla Terra?», rispose innocentemente Nehroi facendo spallucce.
La ragazza abbassò un angolo della bocca con disappunto. «Non questo tipo di incantesimi», borbottò mentre il libro si depositava dolcemente sul suo braccio ancora teso.
Saltò giù dalla scala e prese posto ad un tavolo lì vicino, iniziando a sfogliare il tomo mentre il fratello la imitava e si sedeva di fronte a lei. Portò due dita sotto il collo della maglietta e ne estrasse un ciondolo di legno decorato in oro per giocherellarci nell'attesa.
Le pagine frusciavano in continuazione mentre Savannah le girava rapidissimamente in cerca del documento di interesse. «Sai che non devi mostrarlo in giro», lo ammonì.
Nehroi si guardò attorno con spavalderia, indicando il muro alle sue spalle e gli scaffali ai suoi lati. «Davvero credi che qualcuno possa vederlo e riconoscerlo? Qui? »
«Il contatto con il calore corporeo gli fornisce l'energia necessaria a proteggerti, non dovresti tenerlo così», proseguì lei ignorandolo.
«Lo sto toccando anche ora e mi ritengo sufficientemente protetto per...»
«Rimettilo a posto!»
Nehroi si accigliò. «Tra noi due dovresti essere tu a indossarlo...», bofonchiò tra i denti, irritato.
Altre pagine svolazzarono sotto il naso della ragazza. «Non se ne parla. Oh, ecco qui!»
Si schiarì la voce e iniziò a leggere. Nehroi rimise il medaglione al suo posto e si sistemò sulla sedia, attento.

C'è una grotta, a Bastreth, ed è diversa dalle altre della valle.
È incastonata come una gemma nera in un oceano di rocce piene di muschio e solo gli scalatori più esperti e coraggiosi possono raggiungerla.
C'era un tempo in cui questa grotta era più accessibile, accanto al lago ai piedi della montagna, e si vociferava che chi ne uscisse vivo sarebbe stato investito dei migliori e più magnifici poteri che un uomo potesse anche solo immaginare.
In molti vi si addentravano.
Pochissimi ne uscivano.
Perché quando le tenebre di Mjoklur ricoprivano il corpo del coraggioso o avventato visitatore, ricoprivano anche la sua anima, e difficilmente potevano liberarsene.
Quando Aldeolar, figlio di Mehinlar e valoroso guerriero del sud, vi si addentrò e riuscì a tornare alla luce, dopo otto lunghi anni, tutti in paese sapevano che ogni cosa in lui era cambiata.
Portava un talismano al collo, grande come il pugno di un neonato e duro come il diamante più pregiato, ma non era solo quello a rendere il valoroso guerriero diverso: nessuno a Bastreth non aveva potuto notare il fisico, lo spirito, il nuovo modo di guardare il mondo e di affrontarlo.
Aldeolar era diventato potente, oltre ogni dire, e cupo, pieno delle peggiori tristezze e atrocità che un umano potesse sopportare, fino a diventare qualcos'altro, qualcosa che nessuno a Bastreth aveva mai incontrato.
Ma prima di annegare in quel mare nero, denso e nebuloso che ea diventato il suo cuore aveva fatto un dono alla comunità spostando, pietra su pietra, la grotta un po' più in su, laddove nessun altro avrebbe potuto addentrarsi e patire le sue stesse sofferenze. Poi si lasciò cadere da quell'altitudine, provando forse un ultimo istante di vita prima di addormentarsi, finalmente in pace.”

«Che ne dici? Partiamo?»
Savannah gli scoccò un'occhiataccia e chiuse di scatto il librone, generando una nuvola di polvere che fece tossicchiare il ragazzo. I suoi occhi affilati sbucavano spettralmente dalla coltre grigia.
«Non essere sciocco, è solo una leggenda infondata», soffiò.
«Noi viviamo di leggende infondate», le fece notare Nehroi con uno sguardo derisorio. «Se non te ne fossi accorta non abbiamo mai fatto altro che impossessarci di tesori dimenticati dall'umanità e dal mondo perché appartenenti al regno delle “favole della buonanotte”.»
Savannah sbuffò, allontanò da sé il libro e si afferrò una ciocca di capelli rigirandosela tra le dita, in cerca di doppie punte. Era il suo modo per manifestare irritazione.
«Meno male che c'è il mio fratellino a farmelo notare, se no non saprei affatto che siamo nei registri dell'interpol dai tempi dell'asilo...»
Il ragazzo le afferrò la mano e la tirò verso il tavolo, facendo abbassare di colpo la sorella, presa di sorpresa. «Shh! Che fai, ci vuoi far beccare come dei principianti?»
Savannah alzò gli occhi e si staccò dalla presa con un gesto secco, tornando alla sua attività di ricerca delle doppie punte, incrociando stizzita le gambe sulla sedia accanto. «Beccare da chi, dalla bacucca in cassa? Quella è già tanto se si sveglia la sera per tornare a casa, lo sai.»
«Quindi io non posso giocherellare con il medaglione ma tu puoi parlare della nostra vita tranquillamente?», bofonchiò. «Naaaa, lasciamo perdere!»
Nehroi sbuffò e scosse la testa, poi la sua attenzione tornò a Bastreth e ad Aldeolar. Savannah strappò con decisione un capello nero e lo gettò trionfalmente a terra.
«Il nonno aveva detto che la grotta esiste sul serio, però...», tentò lui a voce bassa rivangando ricordi vecchissimi.
«Che una grotta esista è un conto, che porti effettivamente a Mjoklur e ti uccida o faccia uscire potentissimo e mentalmente instabile è un altro. Inoltre non ci ha fornito alcuna indicazione sul talismano... questa descrizione è inutile.»
Nehroi corrugò la fronte e il suo viso si fece più serio. Abbassò lo sguardo sul titolo del volume che la sorella aveva lasciato sul tavolo e storse il naso.
«Secondo me questa storia è nel volume sbagliato», esordì. «Troppe persone credono che Mjoklur esiste veramente per poter essere solo una favola.»
«Molti credono anche a Babbo Natale», puntualizzò la ragazza in tono scettico.
Nehroi scosse la testa. «Tutti sanno che non esiste, fingono di crederci per divertimento.»
Si portò le mani fredde sulla maglietta, per spostare il colletto che gli pizzicava la pelle, scoprendo per un istante un tatuaggio rosso e viola che spiccava da sotto la cordicella del medaglione.
«Il sigillo fa ancora il suo effetto?», domandò lei preoccupata senza alzare gli occhi.
Nehroi mugugnò e annuì. «Però non sarebbe male avere qualche potere in più per...»
Le mani di Savannah si mossero rapidamente e sbatterono sul tavolo metallico con la potenza di un fulmine, mentre la faccia della ragazza entrava rapidissimamente nel campo visivo del ragazzo, fermandosi solo quando tra i loro nasi non passava più di un centimetro.
«Non andrai a cercare deliberatamente la morte perché forse puoi diventare più forte, capito? Un conto è rubare oggetti magici qua e là, un altro è sperimentare sulla propria pelle se una leggenda di chissà quanti secoli fa è reale o no! Noi eravamo interessati solo al talismano di Aldeolar, non andremo ad abbracciare le tenebre di Mjoklur!», tuonò minacciosa, con gli occhi ostinatamente puntati nei suoi.
Nehroi deglutì, intimidito, e si inumidì le labbra nervosamente. Poi però prese per mano il suo coraggio e si alzò in piedi, riscattandosi dall'attacco psicologico della sorella. «Smettila con queste scenate da mammina, è dalla morte di Lorwar che ti sei rammollita e ormai non vedi più con chiarezza il nostro lavoro!»
Le guance di Savannah avvamparono. «Non è vero!»
«Sì invece!»
La ragazza indurì lo sguardo e catalizzò la sua determinazione in uno sguardo furente. «La prudenza non è debolezza», sibilò velenosa.
Nehroi schioccò la lingua contro il palato e guardò altrove, ticchettando nervosamente la punta del piede a terra. La vita era già stata abbastanza complicata senza che morisse anche il loro fratello minore. Lui era rimasto ustionato dall'esplosione del tempo di Ajak e Savannah era riuscita ad impossessarsi del diadema della regina appena in tempo... ma al loro ritorno Lorwar era stato catturato dai sacerdoti egiziani e giustiziato sotto i loro occhi per il furto. Savannah non aveva superato facilmente lo shock, e passarono settimane su settimane prima che riuscisse a materializzare nuovamente un portale che li riportasse alla base.
E una volta arrivati lì, tornò la guerriera di sempre e si dedicò anima e corpo per stilare una lista di nuovi manufatti da rubare, per fortificarsi e impedire che un evento del genere potesse riaccadere.
Fu Nehroi a trovare una traccia sulla leggenda di Aldeolar negli appunti del nonno e a convincerla a scendere sulla Terra a raccogliere informazioni nelle sezioni di Mitologia.
«Tanto sono tutte frottole, no?», la provocò. «Di cosa hai paura?»
Le labbra rosee della ragazza si piegarono in un ghigno e piccoli denti bianchi fecero capolino da dietro di esse, candidi e luminosi in quell'area buia di una biblioteca dimenticata di New York.
«Massì, vengo con te», ammiccò. «Non posso perdermi l'occasione di canzonarti con il mio adorato “te l'avevo detto”, no?»
Nehroi sorrise a sua volta, beffardo. «Lo vedremo.»

giovedì 17 maggio 2012

Il foglio bianco

Diceva un foglio bianco come la neve: 
"Sono stato creato puro, e voglio rimanere così per sempre. 
Preferirei essere bruciato e finire in cenere che essere preda delle tenebre 
e venir toccato da ciò che è impuro". 
Una boccetta di inchiostro sentì ciò che il foglio diceva, 
e rise nel suo cuore scuro, ma non osò mai avvicinarsi.
Sentirono le matite multicolori,
ma anch'esse non gli si accostarono mai.
E il foglio bianco come la neve rimase puro e casto per sempre
puro e casto, ma vuoto.

(Kahlil Gibran)

domenica 22 aprile 2012

Voglio vivere sulla Luna


In mezzo al cemento e al caos, alle persone che corrono e alle macchine che stridono e incombono ogni due passi; con orari impossibili da rispettare, chiunque si trasforma in centometristi, tra lo sferragliare dei tram e le urla dei parcheggiatori selvaggi.
Con in mano libri pesanti e costosi, pieni di pagine che parlano di cose che ancora non conosco e che mi fanno paura, cerco un momento, in quella giornata afosa, per fermarmi e metterli nello zaino, dove pesano come incudini e mi curvano la schiena; mentre il vento mi distrugge i capelli pettinati con tanta cura poche ore prima e la giacca mi da' tremendamente fastidio, a caccia di un pranzo a poco prezzo per poi andare a sostenere un esame senza sapere se non l'infarinatura di base di ciò che mi verrà cinicamente richiesto, passo una normale giornata tipo all'università.
Stacco in fretta un morso al panino e parte della salsa mi cola sulle dita mentre una fogliolina di verdura vola a terra. 
Alzo gli occhi al cielo, esasperata, e una briciola di pane mi scivola giù dalle labbra schiuse mentre la luna, bianca e sbucata all'improvviso tra le nuvole grigie, inonda le mie iridi.

Lontana, serena, immortale.
Un respiro anomalamente tranquillo mi riempie i polmoni e percepisco una sensazione di sollievo. Il mondo accanto a me sembra acquietarsi, non tranquillizzarsi ma farsi più soave, più distante.
Sarebbe magnifico essere realmente più distante, isolata dal caos della vita e della società terrestre. Sarebbe magnifico vivere sulla luna.
Mi immagino girovagare tra i crateri spumosi, arrampicarmi su scalinate di cristallo o rotolare nella polvere lunare e scintillante. Imagino come dev'essere scoprire cosa c'è al di là dello spicchio illuminato, chissà quali meraviglie cela la parte di luna che noi non vediamo mai. Ci saranno animali magici o piante dalle foggie mai viste e nemmeno immaginate?
Sarebbe magnifico, qualunque cosa ci fosse. Non ci sarebbero comunque esami, né orari, né corse se non per puro piacere. Niente impegni, niente desolazione, niente...
Un senso di desolazione mi pervade e sento le palpebre tremare.
Perché sei così lontana, Luna?
Troppo bella per essere vera e troppo vera per essere mia.
Perché sei così?

I libri tornano a pensare sulle mie spalle e la tua vista si dissolve, oscurata dalle nubi della terra. Il mondo, attorno a me, torna a girare furioso come una trottola; il vento mi scompiglia e arruffa nuovamente i capelli e un'altra foglia di verdura scappa rapida dalla presa del panino ormai freddo.
Una ragazza trafelata mi urta per sbaglio e le cadono i libri di giurisprudenza sui miei piedi, mentre un uomo in giacca e cravatta urla arrabbiato al telefono, poco più in là, e una graziosa bambina di passaggio piange battendo i piedi per terra di fronte ad una nonna che alza gli occhi al cielo e sospira stanca.
Voglio vivere sulla Luna.
~

sabato 17 marzo 2012

Geografia (chiamiamola così)

"Ma dov'è ambientata la storia?"

Se ve lo siete chiesti anche voi, rasserenatevi: non è ambientata in nessun posto preciso.
Capisco che può sembrare strano (mi è stato detto che è un dettaglio che disorienta perché, giustamente, un lettore vuole collocare più precisamente ciò che legge) ma è una cosa che ho eliminato appositamente e facendo pure molta attenzione. Non vi nascondo che è stato faticoso glissare ogni volta sul nome della città, sarebbe stato molto più semplice dire all'inizio "Abito a Domodossola etc", ma non faceva per me e non faceva, soprattutto, per la mia storia.
Forse perché ho pensato fin da subito che una volta piantata la bandierina del luogo si sarebbe iniziato a collocare gli avvenimenti troppo razionalmente e sarebbe andato parzialmente perso il coinvolgimento nella storia... non so spiegarlo bene ma il mio libro vive, non racconta, quindi ho preferito lasciarlo come un flusso di pensieri e non di dati, togliendo il superfluo che avrebbe distratto il lettore dalla vicenda nuda e cruda.

Magari vi chiederete: "perché non hai sparato un nome inventato? Perché hai voluto cancellare i personaggi e la loro vicenda dalla cartina geografica?" 
Ma per dar più spazio a loro, ovvio! ^^
Essendo tutta la storia incentrata su Marika con una prima persona singolare presente a narrare il tutto, non ho trovato giusto, anzi mi sembrava davvero pesante e di troppo, specificare dove si trovasse. Voi quante volte in una giornata pensate alla città in cui vivete? Pensate alle vie, ai percorsi da fare, agli impegni... a meno che non giriate paesi e città ogni giorno per lavoro, non credo di sbagliare dicendo che son poche.
E così anche Marika pensa ai dettagli e non si sveglia dicendo "Sono a Roma".
(... mi spiace se vi può sembrare un ragionamento assurdo, se mi conosceste sareste d'accordo che rientra nella media dei miei soliti! :P)

Ma andiamo avanti, perché il mio voler togliere dalla cartina i personaggi non si è fermato all'eliminazione di una città specifica, nossignore! 
E allora cosa?
I personaggi stessi, signori, sono loro il secondo passo per un calderone indefinito di persone e non di etichette! 
Personalmente è la cosa che preferisco di più tra le mie scelte per caratterizzare il libro... seguitemi:
Marika Saruno è mezza italiana e mezza greca, lo dice lei stessa; Johan Merf è tedesco, anche se non precisato; i fratelli Kelcher sono inglesi, come si evince dai nomi Simon ed Eli. Infine il signor Cilldieu è certamente francese, l'aggressore Izidor è slavo, Yumi è asiatica, Carlos è spagnolo, Anna ha la madre scandinava... l'avete notato?

Quel che ho voluto creare è un mondo - o quanto meno, una città (non sono così megalomane)- in cui tutti vivono esattamente alla stessa maniera, senza problemi o discriminazioni di ogni sorta per la loro provenienza. Ognuno viene da una parte del mondo diversa e a nessuno importa. Nel mio piccolo spazio "ageografico" tutti parlano la stessa lingua, nessuno è strano o emarginato per le sue origini.
Mi piacerebbe che fosse un po' così anche da noi; io faccio del mio meglio per avere un atteggiamento giusto, ma mi accorgo che non è sempre facile e, soprattutto, che non è così per tutti. 
Siamo tutti uguali, nessuno è diverso e ognuno vive alla stessa maniera in qualunque luogo sia. 

Questo è il concetto base su cui ho fatto ruotare i luoghi e i personaggi, spero non disorienti troppo. :)

sabato 3 marzo 2012

Introducing the Book


Nel Maggio scorso ho iniziato a riconsiderare seriamente una mia fanfiction, nata nel 2008 e ora cancellata per ovvi motivi, la cui trama era sufficientemente arzigogolata da poter meritare qualcosa di più di pixel e nomi presi in prestito dai manga. Dopo qualche mese di rielaborazione, progetti scritti su post-it regolarmente persi e reinventati e di costrizione di amici (santi!) per leggere ciò che stava venendo fuori... ecco che la fanfiction è diventata libro cartaceo e ora è oggetto di questo blog.

Può sembrare banale, ma ritengo la scrittura il mio vero sfogo e modo di esprimermi; sono anni che invece di piangere o arrabbiarmi mi chiudo in camera e piantono scrivania e pc finché non ho riempito almeno una ventina di pagine di word. Talvolta, quel che esce da questi flussi finisce nelle mie storie, ma è piuttosto raro.
Dico questo per mettere le mani avanti e rispondere alla tipica domanda che suscita la lettura di Marika e Perla: "Ma è autobiografico? Almeno un pochino?"
No, affatto. Come ho detto nel post di presentazione, trovo le trame comuni troppo banali e nel mio libro ho cercato di trovare il colpo di scena ad ogni capitolo, come se una folata di vento dovesse ribaltare le carte ogni volta che in alto compare il numero successivo. E' un metodo che ho iniziato ad usare nelle mie fanfictions, quando volevo a tutti i costi non far scendere il numero di recensioni dei vari capitoli e quindi ero solita spremere le meningi finché non mi usciva una nuova bomba da lanciare e, ancora oggi, non lo ritengo cattivo.
Per quanto riguarda lo stile, è evidente che non ho usato il classico "terza persona singolare al passato" e nemmeno il "prima persona singolare al passato" che ultimamente sta tornando di moda. Io ho giocato il mio stile di scrittura su una (difficile, almeno da sviluppare per tanto tempo) prima persona singolare al presente, mio esperimento letterario che cerca di coinvolgere il più possibile il lettore, facendogli toccare veramente con mano le varie vicende narrate.
I ritmi sono serrati e le tinte sono forti ma, in fondo, la vita non è a colori pastello...
Enojy your reading! ^^